L’indomani mattina John si alzò presto, dopo essersi girato e rigirato per tutta la notte nel letto. Prese il telefono e formò il numero della sede del partito comunista.
“Vorrei parlare con il signor Audisio. Sono John Pasetti di "Radio Lausanne”.
“Un momento”
Il cuore del giornalista a
ccelerava i suoi battiti. Ogni secondo che passava pareva un’eternità.
“Pronto, sono Audisio” “Buongiorno. Sono John Pasetti di "Radio Lausanne. Vorrei incontrarla per un’intervista”.
“Va bene, venga qua verso le undici”
John si guardò il polso salutando. Erano da poco passate le nove. Corse letteralmente fuori del suo albergo. Il tempo di far colazione nel bar più vicino e d’incamminarsi veloce verso Via della Botteghe Oscure.
Ormai l’androne buio non gli incuteva più il tenebroso senso di fastidio del giorno prima. Si muoveva sicuro.
Lo fecero attendere circa due ore, solo in una stanzetta angusta, del secondo piano.
Non era abituato ad attendere, non così solo. Se almeno avesse pensato di portare un giornale. L’inattività lo rendeva nervoso. Poteva solo camminare in su e in giù, o affacciarsi all’unica finestra per trovarsi di fronte il palazzo amico della RAI.
“Ehi sono qui”
Avrebbe voluto gridare per attirare l’attenzione dei colleghi italiani.
“Non voglio stare solo con i pensieri e le fantasie. Ho voglia di raccontare ciò che mi sta’ accadendo. Che qualcuno si affacci dunque, mi veda, riconosca e venga ad aiutarmi in caso di bisogno”.

Si trovò così a parlare da solo. Il panico e la solitudine gli stavano giocando dei brutti scherzi.
Pensava a Mussolini, a com'era stato esibito il suo corpo, a Piazza Loreto, a tutti i morti che seguirono quell’episodio già atroce in sé.
All’improvviso una porta si apri. Apparve un uomo vestito di grigio che si scusò per il grande ritardo
. Aveva l'aria dimessa, modesta. Ma chi non aveva quell’aria in un periodo di dopoguerra quando ancora mancava quasi tutto?
Il radiocronista pensò, tuttavia, di aver sbagliato posto e persona. Non poteva essere quest’uomo scialbo, il grande eroe coraggioso che non solo aveva affrontato il Duce, ma l’aveva anche massacrato.
“Lei è venuto per un’intervista dunque. Mi dica, chi vuole intervistare?” chiese Audisio gentile.
“Il colonnello Valerio!” disse d’un fiato John.
L’altro lo scrutò in silenzio. Pareva volesse entrargli "dentro" con il pensiero.
“Come fa a sapere che io sono il colonnello Valerio?”
L’aveva detto! Schietto, tranquillo.
Si era presentato per l’eroe che era stato. Per ciò che sentiva ancora di essere. Che liberazione per lui!
Due anni nell’ombra per risentirsi ancora “grande” come allora nelle vesti del partigiano.
“Che cosa vuole sapere?”
“Voglio sapere com'è stato ucciso Mussolini da un testimone. Com’era composto il plotone d’esecuzione e, se fosse possibile, quali sono state le ultime parole del duce”.
Audisio chiese spiegazioni sul modo in cui si sarebbe svolta l’intervista e John ancora confuso, eppure mostrandosi d’una sicurezza incredibile si elargì nei dettagli.
“Le rivolgerò qualche domanda prestabilita in francese e lei mi darà le sue risposte, sempre in francese se possibile. Il disco sarà portato a Lausanne e consegnato alla radio svizzera” “Il disco resterà in Svizzera? Questo lei lo assicura? Allora va bene. Preparerò io stesso le domande e le tradurremo in francese insieme. L’intervista potrebbe avvenire a Via quattro Novembre, nella sede del giornale “Unità."

Passarono alcuni giorni e di Walter Audisio, John, non ebbe più notizia. Lo cercò più volte, ma l’uomo parve si fosse dissolto nel sogno, finché il radiocronista lo relegò all’ultimo posto dei suoi pensieri.
Non poteva fermarsi ad attendere. La sua era, una professione frenetica. Si dedicò così ad altre interviste.
Incidere un disco non era facile allora e richiedeva una preparazione non indifferente e solo alla fine, quando tutto era stabilito, John prendeva appuntamento con il tecnico che lo avrebbe accompagnato con un camioncino e con l’occorrente per le registrazioni. Veniva chiamato: “La mia scorta”.
Dall'automezzo, partiva un lungo cavo, con a capo un microfono che poi John usava per le sue “chiacchierate” ufficiali.
Pochi erano dunque i radiocronisti indipendenti all’epoca.
L’informazione si svolgeva per la maggior parte ancora sulla carta stampata o partiva dall'emittente ufficiale.
Il primo registratore personale, l’ingombrante baule che lo avrebbe accompagnato poi, in tutto il mondo, era ancora un oggetto avveniristico.

Quel particolare pomeriggio Pasetti stava lavorando, nel suo angolino della stampa estera. Batteva veloce sui tasti della macchina per scrivere, quando gli fu annunciata una telefonata del signor Audisio.
John si precipitò in una delle cabine a disposizione e si chiuse la porta alle spalle.
“E’ per domani. Ore 18 alla sede della “Unità”. Venga solo.”
Questa volta John non andò da solo. Non aveva dimenticato le parole del senatore De Gasperi:
"Potrebbe essere una storia dai risvolti pericolosi..."
A parte la “sua scorta” che sola, conosceva l’incisione che stava preparando, chiese ad un amico di accompagnarlo. Si chiamava Lello Bersani che, per l’occasione, si trasformò in un angelo custode.
Il camion per la registrazione fu piazzato in piazza Tre Cannelle e il cavo fu fatto salire lungo la facciata del palazzo, fino al giornale. Alle 18 tutto era pronto. Ancora una volta John fu costretto ad aspettare per più di tre ore. Per fortuna, questa volta non era solo. Riuscì persino a scherzare per buona parte del tempo con l’amico, mentre il tecnico da basso si era quasi assopito.
All’improvviso, comparve Audisio, alias Colonnello Valerio, accompagnato da tre guardie del corpo.
Sembrava aver preso una decisione importante. Trasse dalla tasca un foglio con poche parole in italiano che John si affrettò a tradurre. “E' un testo brevissimo e chiaro” disse Valerio che aveva ritrovato la sua veste originale, quella che mal si adattava al misero ragioniere Audisio. Prima di parlare al microfono trasse una rivoltella appoggiandola sul tavolo.
"Ci siamo! Stiamo entrando nella storia!" Pensarono forse all'unisono i due protagonisti, stringendosi ognuno nelle proprie paure rivestite d'insuperabile coraggio

. Al microfono, fu posta la prima domanda, dopo i saluti iniziali, e la risposta, si attenne al testo. Tranquillo poi, come se lo avesse già deciso dentro di sé, Valerio continuò improvvisando.
Un tono deciso e imperioso voleva finalmente dire ciò che gli era da qualche tempo, vietato. Voleva tornare ad indossare virilità e arroganza. Ritornare ad essere sé stesso, l’uomo che la voglia di libertà aveva reso grande.
“Era la notte del 28 aprile in una casa di contadini. Avendolo preso lo condussi sul luogo già scelto per l’esecuzione della pena capitale e gli lessi il testo della pena di morte: "Per ordine del comando generale dei volontari della libertà, io sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”.
“Signor Colonnello quali sono le vostre impressioni sugli ultimi istanti di Benito Mussolini?” “S’è comportato come un individuo inferiore alla media degli uomini. Vile, tremante di paura, ha dimostrato che non intendeva per niente lasciar perire il proprio corpo. Non ha pronunciato parole che potevano farlo apparire come un essere degno e un uomo che sia almeno degno della morte. Io non ho avuto dunque l’impressione di fucilare un essere umano. Non ho trovato in lui un minimo di coscienza che avesse potuto renderlo tale.
"Signor Colonnello posso domandarvi esattamente quanti partigiani componevano il plotone d’esecuzione?”
"Il plotone d’esecuzione che avevo condotto con me da Milano, era rimasto a Dongo per l’esecuzione della pena capitale d'altri capi fascisti. Sono io che ho fucilato personalmente Mussolini".
"Vi ringrazio colonnello per le vostre dichiarazioni di così grande e importante interesse.
Il colonnello Walter Audisio, autore materiale dell’esecuzione del Duce, ossia Benito Mussolini, ha parlato al microfono di Radio Lausanne, a Roma, Italia”.

L'incisione era terminata, e il brevissimo discorso era diventato un disco! Una testimonianza d'interesse sbalorditivo. Era il disco più prezioso che John avesse inciso perciò, si sentì subito preoccupato che qualche difetto meccanico avesse impedito la registrazione. Il sistema d'incisione era allora assai incerto, non come sui nastri a venire.
Con il microfono domandò al tecnico che si trovava nell'automezzo:
"Tutto bene Mario? Hai registrato TUTTO?"
"TUTTO perfettamente"
"Allora fila...penso io a recuperare il cavo":
Tutti i presenti si stavano agitando, nella stanza. Non era stata programmata un'ammissione tanto esplicita.
Perché mai Audisio non si era attenuto a testo sul vago? Perché poi quelle parole gratuite sulla viltà ultima del duce? Pasetti maneggiava il cavo, controllandosi esteriormente. Si comportava come se fosse stata una chiacchierata qualunque come lo era stata con il maestro Pizzetti o che sarebbe stata con un'altra personalità, che a quella stessa ora lo stava attendendo nella sede della RAI, nel palazzo di fronte al palazzo del partito comunista a via delle botteghe oscure, eppure il suo cervello bolliva.
Chi aveva parlato al suo microfono? Il Valerio fiero d'aver ucciso l'acerrimo nemico numero uno oppure, il timido ragionier Audisio che tutto il partito cercava di fare stare zitto da due anni?
La soppressione violenta di una donna, infatti, non piacque. Per queste, e mille altre ragioni allora, il partito cercò di nebulizzare l'episodio e, Valerio fu ridotto al silenzio, costretto a dimenticare lui stesso ciò che effettivamente era, sommergendo il suo orgoglio di partigiano, la fierezza di essere stato un protagonista, oppositore di un regime totalitario e nefasto
Qualsiasi fosse stato il motivo che aveva indotto Valerio alla rivelazione, aveva ora passato il testimone, ed era John che incominciava a tremare per le possibili conseguenze, di una dichiarazione liberatoria.
"Che cosa accadrà? Potrò uscire liberamente? Potrà andare dal tecnico a recuperare il disco? Potrò partire per la Svizzera tra qualche giorno come programmato?"
Aveva terminato di annodare il cavo e stava per accomiatarsi, quando Valerio lo riprese con arroganza:
"Voglio sentire il disco"
"Vede... il tecnico è andato via". Valerio protestava indignato.
"Stia tranquillo, mon Colonel, verificherò che tutto sia a posto. Inoltre partirò questa sera stessa per Lausanne, il disco non resterò in Italia" Mon Colonel, parole che si trasformarono in magia in quel momento. Sentirsi chiamare così fece credere forse al comandante di un recente passato di aver a che fare con un subordinato che per niente al mondo avrebbe contrastato i suoi desideri.
Fatto sta', che John riuscì ad uscire con l'amico Bersani, pallido palesemente impaurito.
John si diresse verso Piazza Colonna, verso il suo albergo evitando, Via della Mercede e la Stampa estera dove sarebbe potuto cadere nella tentazione di raccontare ai colleghi la grand'avventura.
Lello Bersani lo avrebbe lasciato quasi subito, contento di trovarsi fuori di una spiacevole situazione dalle conseguenze incerte.
Il portiere d'albergo stava parlando con due uomini e vedendolo entrare disse alzando la voce:
"Non ho visto il signor Pasetti oggi. E' uscito questa mattina presto e non si è più visto rientrare".
John capi l'antifona, finse di guardarsi un poco intorno, di cercare qualcuno, poi si diresse alla porta e uscì nuovamente.
E adesso? Un sudore freddo gli salì veloce lungo la schiena.
Prese un mezzo pubblico e andò a recuperare il disco cercando di mimetizzarsi come poteva. Si avvicinava ad altre persone, fingendo di stare in compagnia. Essere solo, avrebbe attirato di più l'attenzione, pensò...

Si trattenne da parlare a lungo con il tecnico, di lavoro e del più o del meno cercando d fare passare il tempo prima di ritornare all'albergo. Chiese di telefonare e chiamò il portiere dell' hotel:
"Tutto in ordine? Mi cerca ancora qualcuno?"
"Signor Pasetti è lei? Io non so cosa ha combinato ma deve averla fatta grossa. Qui è un continuo di personaggi truci che vengono a chiedere di lei. Ce ne sono due davanti all'ingresso da un paio d'ore!"
"Va bene Luca. Se qualcuno chiede di dì pure che sono quasi in Svizzera. Sono in viaggio. Infatti, mi trovo ad una stazione (e non specificò quale). Ci vediamo tra qualche giorno".
Salutò quindi il tecnico non mostrando alcuna preoccupazione evitando così, di trasmetterla anche a lui, e s'incamminò per le strade ormai deserte. Era tardi e il buio gli faceva vedere ombre ovunque.
Un taxi stava passando per caso, mentre John attraversava una strada qualsiasi. Lo fermò con un gesto della mano e si fece portare vicino alla stazione Termini. Stringeva forte il suo prezioso disco insieme con altri due che per fortuna non aveva tralasciato di portare con sé, protetti in una busta, sotto la giacca.
Il tassista fermò l'auto e John ebbe un guizzo d esitazione. Lo staranno cercando anche lì? Cambiò dunque idea e senza scendere disse al tassista di portarlo alla stazione Tiburtina.
"Lì non mi cercheranno, è una stazione periferica, non ci sono treni diretti in Svizzera ma mi avvicinerò un poco" pensò.
Nessun treno partiva per il Nord a quell'ora di notte ma tra poco sarebbe partito un convoglio per Pisa dalla stazione di Trastevere. John fece in tempo a fermare il suo taxi impegnato in una manovra, risalire e farsi portare dall'altra parte della città.
Lasciò Roma, infreddolito e ormai quasi al verde, in una cabina di terza classe. Senza una valigia, senza lo stretto necessario per cambiarsi pareva l'ultimo dei pezzenti.
Contin
uava a stringere il suo tesoro con le braccia incrociate sul petto pensando che valesse più di tutto l'oro del mondo. Era ormai la mattina del 4 Marzo del 1947. Scese in una pensioncina spoglia, che costava poche lire, e cercò di riposare un poco su una branda sbilenca nell'attesa che un'altra notte scendesse di nuovo. In tarda serata trovò un accelerato per Firenze dove scese, per dirigersi, a piedi, verso la sontuosa Villa della sua famiglia dove avrebbe trovato sicurezza, rifugio denaro e affetto.

"Per quanto tempo staremo via?" continuava a chiedere Irene.
John accelerava il passo trascinando ormai la valigia e come in un tic continuava a controllare il suo prezioso disco., imbracato insieme con gli altri, sotto gli indumenti a contatto con il petto nudo.
"Forza Dianella, siamo quasi arrivati, fra poco potrai riposarti" m'incitava la mamma quando anch'io mi facevo trascinare dalla sua mano stretta alla mia. Fummo fortunati, un treno stava partendo per Bologna e Milano. Mi sarei seduta finalmente, avrei poi guardato fuori del finestrino e, come tutti i bambini, mi sarei incuriosita per quell'improvvisa avventura.
Una volta sul convoglio invece, il tempo trascorse cambiando continuamente vagone.
A Milano era giorno pieno. Si scese e si aspettò un altro treno che ci avrebbe portato a Domodossola verso la frontiera.
John continuò a non dare spiegazioni. Lo avrebbe fatto solo a Lausanne. Sarebbe stato troppo pericoloso parlare in treno con tanta gente intorno! Irene, stava già imbastendo una delle sue scenate. Intuendolo, il marito la calmò sul nascere. Non sempre ci riusciva, ma quella volta fu fortunato, d'altra parte egli spariva in continuazione camminando da un vagone all'altro, mentre lei ed io aspettavamo questa volta, in ansia ogni sua riapparizione.

Aveva 29 anni appena il mio papà e stava vivendo una situazione certamente più grande di lui. Vi aveva coinvolto anche sua moglie e me, vuoi per proteggere se stesso, riparandosi momentaneamente intorno alla famigliola unita, vuoi per portarci il più lontano possibile dal lavoro o per cercare di proteggerci davvero. Il suo era un carattere istintivo che non approfondiva quasi mai, quindi difficile comprendere le vere intenzioni di un suo comportamento.
Adesso ci trovavamo tutti su un treno diretto in Svizzera. Mia madre ed io in un vagone della terza classe, ammassati tra altri passeggeri, mentre lui camminava da un vagone all'altro.
"Ha perso qualcosa?" gli chiedeva qualcuno vedendolo passare e ripassare, dalla locomotiva alla coda del treno e viceversa.
Sembrava volesse pedinare qualcuno, e nel medesimo tempo, accertarsi che nessuno lo avesse seguito. Si dannava nei suoi incubi, al ritmo di un "chuff chuff" rumoroso e un corpo dall'equilibrio instabile su un vagone che oscillava dannatamente a destra a sinistra.
La mente del giovane ripercorreva gli avvenimenti recenti, soffermandosi su Mussolini e i suoi ultimi momenti... qualunque essi fossero stati. Poi la morte del dittatore per mano di Valerio. Valerio! Un valoroso colonnello partigiano, trasformato a sua volta, dal partito in un misero ragioniere, che lavorava in un triste edificio buio e tetro. La memoria lo riportava davanti a quell'edificio di cui anch'egli era intimorito,
Il treno avanzava lento e John, camminando senza sosta, rievocava ora le morti violente che avevano colpito tanti di coloro che avevano posseduto il suo stesso segreto.

Alle morti di un dittatore e dei suoi gerarchi erano seguiti gli assassini di Giuseppe Frangi, chiamato Lino, Luigi Canali, detto Neri e la donna che viveva con lui Gianna Truissi e una sua amica, e persino il padre di quest'amica.
Un segreto ingombrante era nascosto sotto la sua giacca e nella sua memoria. D'un tratto si ricordò che poco più in là, su quello stesso treno viaggiavano anche sua moglie e la sua bambina, e se stava succedendo loro qualcosa? Così travolto dall'angoscia John correva nuovamente da un vagone all'altro del treno. Andava ad accertarsi che la sua famiglia era nel vagone dove l'aveva lasciata. Vedendola poi tirava un respiro di sollievo, per riprendere la sua camminata tra le vetture. Stava davvero vivendo un'ossessione. Con l'immaginazione vedeva i due omaccioni che lo stavano aspettando all'albergo Inghilterra a Roma, e altri che pensava lo aspettavano a Termini e chissà a quanti altri ancora sparsi dalla capitale alla frontiera di cui era ancora lontano.
Il sudore freddo non lo lasciava un attimo. Gli saliva lungo la schiena per disperdersi e rinascere rinvigorito alla sua base, come un'onda.
Per infondersi coraggio pensò alla Svizzera neutrale e giusta, che così ben conosceva, dove le voci del suo servizio radiofonico si sarebbero innalzate attraverso l'etere, per riattraversare le Alpi, raggiungere le case degli europei e soprattutto degli italiani. Finalmente, per mezzo delle voci registrate avrebbero potuto conoscere la verità sulla fine del Duce.
Si mise quindi a ridere, da solo, pensando al bar notturno... a tutte le speculazioni fatte dai suoi colleghi giornalisti così seri, così pomposi, così lontani dalla verità, mentre lui la stava toccando, stringendo, lì sotto la giacca striminzita e fredda, d'ultimo arrivato!
Giunti a Domodossola, John riunì la famigliola ad un buffet de la gare, al caldo infine, davanti a fumanti tazze di caffè latte.
Dopo aver bevuto frettolosamente la sua, disse di voler andare a fare un giro nell'attesa del treno per Lausanne. La mamma ed io lo avremmo aspettato nel locale. John si trovava di casa alla frontiera. Lo conoscevano tutti: il cambiavalute, le guardie, il capostazione.
"Pasetti, la stanno cercando! Negli ultimi giorni almeno cinque persone sono venute per chiedere ripetutamente di lei!" gli disse quest'ultimo. "Chi erano?"Avevano l'accento di Roma"
Il convoglio per la Svizzera si stava formando. John accomodò Irene e me in uno dei primi vagoni e sparì nuovamente, per andarsi a sedere nello scompartimento della polizia che procede al controllo dei passaporti.
Il treno si era già messo in moto. Lui parlava della sua intervista con De Gasperi forzandosi di attrarre l'attenzione di tutti per proteggersi.
All'avvicinarsi della galleria la paura per la sua famiglia divenne di nuovo incontenibile. Lasciò dunque il doganieri e si unì a noi.
Mi prese in braccio, per parlarmi delle montagne, dei camosci, dei ruscelli.
Mi parlò dei laghi che si tramutavano magicamente in piste di pattinaggio d'inverno, mentre d'estate, le loro acque ospitavano cigni bellissimi. Mi stringeva forte tra le braccia, quasi a farsi scudo con il mio corpo e proteggere il suo prezioso tesoro.
La galleria che stavamo percorrendo ora, pareva interminabile. Ci vollero 35 minuti per attraversarla tutta.
Trentacinque interminabili minuti e, nonostante il frastuono, un parlare senza sosta, per scacciare i fantasmi. Alla fine la luce del giorno riapparve, e sentimmo il treno fermarsi.
"Briga. Briga!"
Finalmente!

"Siamo in Svizzera, Dianella, in Svizzera!"
Di colpo sparì la paura, sfumarono i fantasmi. Di colpo il sudore freddo scomparve. Di colpo John ritornò ad essere il giovane sicuro e spavaldo che era sempre stato.
La salvezza insomma, per Irene, per me piccola, mentre lui sarebbe stato ripagato con la celebrità, per avere portato una verità, una parte della storia d'Italia, in un paese libero, da dove sarebbe potuta essere divulgata.
Da Briga a Lausanne si vede la valle del Rodano, si attraversa Berna con l'Aar, si attraversa Friburgo.
L'aria era leggera e mite in quella primavera del 1947. La Svizzera, un paradiso, per chi veniva da un'Italia distrutta. Adesso si vedevano dei verdi prati, delle mucche pascolare tranquille, l'ordine al posto delle macerie, e respirare ...respirare pace.

A Lausanne John corse alla sua emittente mentre la famiglia si faceva portare da un taxi nell' hotel più comodo della città.
I dischi furono ascoltati con entusiasmo da tutta la troupe radiofonica. L'intervista a De Gasperi sarebbe stata diffusa subito. Il discorso di Mussolini sarebbe servito per un montaggio radiofonico. Interessanti Respighi e Rabagliati...giacché al discorso del colonnello Valerio sarebbe stato necessario domandare il permesso a Berna per trasmetterlo.
"E' una faccenda delicata, anche se siamo in un paese neutrale. Torna al tuo albergo Johnny. Ti chiamerò appena possibile" disse il direttore della compagnia radiofonica svizzera.
A questo punto "Kukini", "Gian Marco" chiamato "John" da tutti ormai, meno che da sua moglie, si fece prendere da una crisi di nervi. "Permesso?"
Quale permesso dopo che aveva rischiato la sua vita e forse anche le nostre?
Che razza di paese non era mai questo?
Non ebbe, in ogni modo, altra scelta che di andare all' hotel e cercare di calmarsi dentro una comoda vasca da bagno colma d'acqua calda.
L'indomani sarebbe ripartito nuovamente e da solo, per la confusa Italia, e per Roma, perché per lui, era quello il luogo in cui si stava continuando a vivere nella "storia".


N O T E:
Il partito comunista apprese che il colonnello Valerio aveva parlato concedendo il 3 Marzo 1947 un'intervista alla radio Svizzera. Non sapendo se la radio aveva o no l'intenzione di trasmettere l'incisione, corse ai ripari rompendo il silenzio e costringendo il rag. Audisio ad uscire allo scoperto. Egli, infatti, 26 giorni dopo l'incisione si presenterà davanti alla Basilica di Massenzio a Roma pronunciando un discorso e ammettendo pubblicamente di essere il colonnello Valerio e di aver ucciso personalmente Mussolini Questo il 28 marzo 1947.

JOHN:
Diventerà uno dei radiocronisti più ricercati. Viaggerà in tutti i continenti e raccoglierà le testimonianze dei personaggi più famosi del secolo.

IO:
Sarei restata in Svizzera per molti anni ancora.

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