In una tarda serata di fine febbraio, John si trovava nel bar con i colleghi più anziani. Era astemio e non gli piaceva il caffé, così rigirava un bicchiere di latte tra le mani, ascoltando distrattamente, l'ormai saturo argomento su chi avesse ucciso Mussolini.
Se ne parlava da due anni ormai.
Uno dei tanti presenti, americano, aveva scritto quella mattina, che il duce si era ucciso, dopo aver sparato su Claretta e stava ora ripetendo la sua tesi.
"Ti sbagli, Mussolini è stato massacrato a bastonate" assicurava, un corrispondente del Brasile, mentre un francese, cercava di convincere i colleghi che era stato un sosia di Benito a morire, mentre Mussolini si era rifugiato in America meridionale, forse in compagnia di Hitler.
Alcuni dei giornalisti presenti, avevano pur visto i cadaveri di Mussolini e della Petacci in una macabra esibizione a Piazza Loreto, eppure continuavano a ricamarci sopra, guadagnandosi così, ben poco seriamente, il pane quotidiano.
John non partecipava alla discussione. Pensava alla sua prossima intervista con l'onorevole De Gasperi. Ne preparava mentalmente le domande, quando la sua attenzione fu attratta dall'atteggiamento irritante di un ubriacone che si trovava poco distante dal loro gruppo. Un omino che si perdeva, in mezzo ad una compagnia di prostitute, entrate da poco per riscaldarsi.
Nel bar c'era un gran fumo. Gente che entrava e usciva in continuazione come ogni notte, persone diverse e come sempre, regnava un'enorme confusione. "Io lo so chi ha ammazzato Mussolini! Io lo so. Voi state dicendo un mucchio di sciocchezze" continuava a spiaccicare l'ubriacone, restando ignorato da tutti. "Forse vuole farsi pagare ancora un sorso, con l'ultima baggianata" cercava d'aiutarlo il barista, che non perdeva un colpo se si trattava dei suoi affari, pur restando ignorato da tutti.
John, divertito, si staccò dal gruppo, cercando di non farsi notare e si avvicinò a quell'uomo che pareva un impiegato, vestito com'era in camicia e cravatta. "Chi ha ucciso Mussolini?" chiese il radiocronista tra il sornione e lo scherzoso.
L'altro lo guardò, valutandone la simpatia, poi gli si avvicinò barcollando e gli sussurrò all'orecchio:
"Si chiama Walter Audisio. Lavora con me alle Botteghe oscure.
John gli offrì da bere e ritornò tra i colleghi. Il tempo di sorseggiare il suo bicchiere di latte e uscire veloce dal locale.
La conversazione stava diventando veramente noiosa e l'aria irrespirabile per un essere che, come lui, odiava l'odore lasciato dalle sigarette.
Si diresse a piedi, verso l'hotel d'Inghilterra, dove alloggiava da un anno, camminando veloce, le mani in tasca e la testa nelle "sue" nuvole.
L'indomani mattina fu svegliato dal suono del telefono. All'altro capo del filo la voce della sua bambina.
"Quando torni papà? Firenze è sempre qui e ti aspetta!"
John guardò distrattamente l'orologio da polso, che non si levava mai, nemmeno di notte e pensò, chissà perché all'ubriaco incontrato la sera prima. "Presto tesoro, torno presto" rispose distratto. La mente era già altrove, rivolta al lavoro. Liquidò sbrigativamente anche la moglie che già gli stava rifilando i soliti rimproveri sullo scarso attaccamento che egli aveva verso la famiglia.
"Al diavolo Firenze. La vita è qui, la storia è qui, che ci vengo a fare a Firenze? concluse tra sè e sè.
L'avere una famiglia era l'unica cosa che John riusciva a nascondere, lui che non sapeva tenere un segreto nemmeno con i concorrenti.

John era solo a Roma.
Aveva terminato gli studi in America rientrando poi a Firenze, per prestare il servizio militare, ed era diventato ufficiale di collegamento con la P.W.B. La liberazione della città lo trovò a capo dei servizi radio.
Subito dopo la guerra aveva iniziò la sua carriera radiofonica. Divenne collaboratore della RAI. Là ebbe il primo programma musicale tutto suo, prima di accettare l'incarico d'inviato speciale a Roma, per "Radio Lausanne" pur continuando a lavorare anche per l'Italia oltre che per le radio americane NBC e CBS
Non aveva ancora trent'anni e già aveva precorso tutti i tempi per ciò che riguardava la carriera, trovando anche il tempo per sposarsi e mettere al mondo una figlia.
Ora però si trovava, libero e solo in una capitale, e non avrebbe disdegnato qualche avventura al riparo dai pettegolezzi.
Le ragazze in cerca di gloria, non mancavano di certo intorno al suo mondo. Attricette emergenti, giovani in cerca di pubblicità, in cambio della quale avrebbero passato volentieri qualche ora con un giornalista poliglotta, simpatico, spendaccione, giovane e, a modo suo, affascinante. Perciò di tutto si sarebbe parlato, meno che dei familiari.
La famiglia di John, si trovava al riparo, a Firenze.
Viveva in una bellissima Villa, posata su una delle più attraenti colline insieme a sua madre, ritornata da poco da Ginevra, dove si era volontariamente rifugiata, aspettando che in Italia terminasse la guerra.
Mercedes era una persona danarosa, d'origine nobile. Godeva di gran prestigio a Firenze, e stava pensando lei alla nuora e alla nipotina perciò "Che mi lascino lavorare in pace!"
John pronunciava le parole ad alta voce, per convincere se stesso e cacciare quel remoto rimorso che gli batteva, ogni tanto, in un angolo del petto.
Si diresse verso il bagno e, aspettando che l'acqua calda riempisse la vasca, si sedette sul water chiuso, accomodandosi come in poltrona. Su di un taccuino posto sulle ginocchia compilò le domande che avrebbe rivolto a De Gasperi.
Si immerse poi rilasciando tutti i muscoli del corpo. Adorava incominciare così le sue giornate. Il bagno era un rito per lui. In acqua riusciva a pensare meglio.
Con straordinaria calma, metteva in fila uno dopo l'altro i programmi che avrebbe cercato di portare a termine durante la giornata. La sera infine, sul tardi, si sarebbe recato nel solito Bar notturno, pieno di fumo, frequentato da ubriaconi noiosi...
...L'ubriaco incontrato la sera prima! Non riusciva a scacciarne il pensiero.
Se davvero avesse avuto un prezioso: "Chi, Come, Quando e Perché""
Il telefono cominciò a risuonare insistente nella stanza attigua. John non lo lasciava mai suonare a lungo, sempre pronto com'era all'emergenza, al correre su una notizia.
Si avvio veloce, nudo, verso l'apparecchio dunque, riuscendo a catturare nella fretta solo un piccolissimo asciugamano, con il quale, già si stava asciugando la testa con una mano mentre con l'altra sollevava il ricevitore.
Perché la testa? Forse perché quella era la parte del suo corpo che aveva più bisogno di protezione.
Dall'altra parte del filo, il suo direttore, gli stava chiedendo se avesse ottenuto, per "Radio Lausanne", l'intervista con De Gasperi.

John corse tutta la mattinata, per segreterie e per uffici, cercando di procurarsi al più presto l'appuntamento con De Gasperi. L'ottenne per il pomeriggio stesso. L'eccitazione affinché tutto andasse per il meglio, gli fece momentaneamente dimenticare famiglia, ubriaco, Firenze, e il suo direttore.
De Gasperi, persona affabile e aperta, era sempre gentile con i giornalisti esteri, tanto più che aveva bisogno di loro. John, d'altro canto si rivelava incontenibile quando descriveva un viaggio o raccontava una sua avventura.
Finita dunque l'intervista ufficiale, i due uomini non accennarono ad accomiatarsi l'uno dall'altro ma andarono avanti a parlare come persone che stanno bene insieme. Naturalmente si trovarono a parlare anche di Mussolini e della sua morte.
Il radiocronista raccontò la sua storia facendo il nome di "Audisio" e l'uomo politico si mostrò palesemente interessato.
"Audisio? Il colonnello Valerio?" ripetè.
Guardò fisso il giornalista cercando di indagare, sapere quanto ne fosse informato, senza esporsi oltre. "Mi deve promettere di non ripetere questo nome in giro. Glielo chiedo come favore personale, almeno per qualche tempo. Potrebbe essere al momento una storia dagli sviluppi pericolosi..."
Ora il cervello di Gian Marco, John, Kukini, s'illuminò con mille fuochi d'artificio.
"Allora esiste! Valerio e Audisio sono la stessa persona!" pensò il giovane.
In quanto a chiedere ad un giornalista, di mantenere un segreto era, stato alquanto inopportuno poiché egli avrebbe rafforzato le sue impressioni istintive, si sarebbe convinto di trovarsi nella giusta direzione e avrebbe puntato tutte le forze ad approfondire una storia e farla diventare ciò che oggi si chiama uno "Scoop".
John si accomiatò senza tanti preamboli. Il lavoro là era terminato e la conversazione non lo interessava più.
Controllò velocemente la lunghezza dell'intervista appena terminata. Gli rimaneva ancora la facciata di un disco a disposizione.

Era ancora presto quando John lasciò l'onorevole De Gasperi.
Si trovava in pieno centro di Roma, ed era un buon camminatore perciò si diresse con passo sicuro, verso Via delle Botteghe oscure, sede della RAI per procurarsi un vecchio discorso di Mussolini in archivio. Scelse quello fatto a Genova nel 1942. Lo incise su metà della facciata ancora vergine del disco che teneva sotto il braccio
. Si udiva il duce parlare ironicamente della propria morte, come se avesse avuto un triste presagio.
Ascoltandolo, il giornalista ritornò con la mente alla incerta balbuzie di un ubriaco, incontrato la sera prima.
Forse anche questa sera lo avrebbe rivisto, magari savio, al Bar notturno del Tritone, e certamente non avrebbe più parlato di un argomento così scottante.
Camminando John alzò gli occhi verso i piani alti di un palazzo, dove aveva sede il partito comunista. Era un palazzo che gli incuteva sempre un pò di paura. Sarà stato per la propaganda! Sarà stato frutto della sua fantasia. Stava di fatto che non ne aveva mai ricevuto una buona impressione. Spesso aveva visto sostarvi davanti, un gruppo d'uomini grossi e forti che gli erano apparsi come un'accozzaglia di bravi pronti a colpire.
Quando si recava alla RAI, il giornalista cercava sempre di tirare dritto. Questa volta invece, attraversò sicuro la strada quasi deserta, ed entrò nell'androne.
Non c'erano i bravi, solamente un portiere con l'aria dei soliti portieri romani, un pò grasso e flaccido seduto su una sedia impagliata.
Pasetti, gli domandò con voce ferma:
"E' ancora in ufficio il signor Audisio?"
"No. Oggi non si é visto. Lei chi é?"
"Non importa, ripasserò, dovevo consegnargli un pacco, rispose pronto John, mostrando l'involucro di carta che celava il disco, e uscì velocemente.
Il passo baldanzoso, la faccia sorridente, John era fuori di sè dalla gioia.
"Audisio lavora per il partito comunista! VALERIO lavora per il partito comunista!"
Valerio, il colonnello Valerio, é stato il primo partigiano comunista d'Italia.
Ha condotto a termine operazioni importantissime. E' stato applaudito dalle folle, parimenti a Togliatti e a Nenni. E' stato condottiero ed eroe.
In una parte importante della sua vita gli era stato riconosciuto potere e gloria, fino a farlo diventare l'unico, il solo giustiziere di Mussolini, anche se poi nell'azione, si smarrì a tal punto da colpire insieme con lui anche la Petacci.
Valerio...che uomo non era mai adesso a distanza di due anni?
Come si sentiva nel custodire una verità così assiduamente cercata dai connazionali sopravvissuti prima, e dai tanti giornalisti accreditati a Roma poi? Che cosa provava nell'incrociare tutti i giorni i suoi connazionali che per colpa del duce erano morti dentro? Quali disposizioni d'animo avrebbe voluto esternare nel dover ascoltare i nostalgici di un recente passato che rimpiangevano invece una dittatura e il suo capo?
Viveva ogni momento nell'ipotesi felice di poter essere incoronato eroe sopra tutti gli eroi o nel terrore di essere perseguitato, insultato, castigato e forse ammazzato da vendicatori di una dittatura?
Come si sarebbe sentito se avesse saputo che un uomo stava per sciogliere il suo segreto, cercando di farlo parlare, di tirare fuori dal profondo del suo essere ciò che gli pesava dentro da troppo tempo?
Lo avrebbe accolto come un salvatore o lo avrebbe fatto distruggere per accontentare un partito che voleva il silenzio ad ogni costo?

John dal canto suo, si trovava vicinissimo allo scoprire, dopo due anni, che Valerio non era stato un personaggio creato dalla fantasia popolare, bisognosa di miti, per andare avanti nei sacrifici e nei tormenti di una guerra interminabile.
Scoprire l'esistenza di un unico esecutore della morte Mussolini. Scoprire i segreti di questa morte con i suoi retroscena e avere la possibilità di tramandarli alla storia. Un'impresa grande anche per un giovane che, quantunque coraggioso, ne era ormai pienamente coinvolto.
Tornato alla Stampa estera, esultante si avvicino al bancone del bar nel salone principale. C'era sempre qualche collega, seduto su un alto sgabello, intento a sorseggiare alcool e in vena di chiacchierare.
John parlò a lungo della sua intervista a De Gasperi e ascoltò le sparate giornalistiche degli altri.
Essere giornalista significava anche avere tanta fantasia, seppur con poca realtà in mano, oppure notizie da tenere ben nascoste.
Perciò quel bancone era sempre affollato da persone che gareggiavano tra loro a chi la sparava più grossa e a John piaceva la compagnia.
Era un ottimo conversatore, inoltre non aveva problemi di lingua. Poteva liberamente esprimersi con tutti i colleghi esteri. Esternava un carattere sincero, aperto ed espansivo e ciò lo portava ad essere amico di tutti e, se c'era un nuovo arrivato da aiutare ad ambientarsi nella già allora caotica Roma, era il primo a porgere una mano.
Parlava sempre volentieri del suo lavoro, dei progetti. Non riusciva mai a tenere un segreto per sè, ma quella sera, con grande sforzo, lo trattenne.
Avrebbe voluto gridare a squarciagola la sua scoperta, avrebbe voluto ballare sopra il bancone dalla gioia di aver scoperto la vera esistenza del colonnello Valerio eppure, non lo fece.
Ordinò un whisky, senza pertanto berlo, soltanto per giocare con un bicchiere come al solito, e, darsi un tono controllato, finché decise di uscire, portandosi dietro l'ultimo arrivato tra i colleghi per andare a cenare in una trattoria vicina e continuare a parlare di lavoro.

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