Uscendo dall'albergo, questa mattina, guardo in alto, al nuovo imponente tempio che ha preso il posto dell'altro, umile e fragile e decido di andarlo a visitare. Prendo così una camionetta, una di quelle collettive che si fermano dove vedono una persona in attesa, seguono un percorso flessibile e ti fanno scendere proprio dove vuoi. Nel tempio, incontro solo qualche bonzo qua e là che si ferma a chiedermi da dove vengo. Per tutti ho una risposta diversa, ora dico di provenire dalla Francia, ora dalla Scozia oppure dall'Italia, tanto so benissimo che sono solo dei nomi per loro. Di noi altri, conoscono solo una fisionomia diversa, un'arroganza a loro sconosciuta, spesso una mancanza di rispetto. Inoltre, temono il valore dei nostri soldi con i quali ci arroghiamo il diritto di comperare tutto. Poco distante, c'è la spiaggia, parzialmente nuova, di Jomtien. E' diversa dalla baia che ho appena lasciato. La spiaggia è più larga, l'acqua chiarissima, non ancora battuta da decine d'imbarcazioni.
Le onde sono lunghe e molti si cimentano nel surf. E' la spiaggia frequentata da famiglie Thai che malvolentieri si mischiano con i turisti. I bambini giocano con niente: un barattolo, una bottiglia vuota, un vecchio copertone d'auto. Mi immergo nelle acque tiepide, prestando attenzione a non calpestare i ricci di mare, facendomi largo tra le miriadi di pescetti che abitano le acque basse. E nella gioia e nell'entusiasmo mi allontano un po' troppo fino ad abbracciare con lo sguardo questa seconda baia, ancora incontaminata.
Pranzo in costume, ad un tavolo in comune con i Thai, vicino alla spiaggia, avendo cura di indossare shorts e maglietta, per rispetto verso questa gente per cui le nudità sono un'offesa, un affronto verso il loro credo. Il pesce abbonda e anche i pasti più umili sono presentati con fantasia e raffinatezza.
Si ride, si scherza, senza comprenderci; si è sciolti e sereni.

In Thailandia e a Pattaya più che mai, è alla sera che tutto si esalta. Le strade si riempiono di bancarelle, emergono dal nulla mercati, illuminati a giorno a mostrare meravigliosi frutti esotici, che è un peccato consumare, banchi ricoperti di fiori tropicali, e non è raro vedere dei passanti con dei gibboni giocosi sopra la spalla, o degli elefantini passeggiare come cani insieme ai padroni. Allora tutto si trasforma in gioia. Ti fermi ai carrettini per gustare un dolcetto, più in là compri una maglietta, dopo aver sudato sette camice per barattarne il prezzo, altrimenti che divertimento c'è! Io baratto sempre per ore, poi finisco con il pagare il primo prezzo richiesto, tanto mi sono divertita lo stesso.
I ristoranti all'aperto si riempiono di persone allegre e mangione, mentre i turisti del "tutto compreso" si richiudono nei locali con l'aria condizionata.

Venivamo sempre da questa parte della baia a mangiare la sera, quando eravamo residenti, la mia famigliola ed io. E i posti sono sempre gli stessi: tavoli in riva al mare, piedi sulla sabbia, sciacquio in sottofondo e sopra la testa, la luna come il lampadario più prezioso.
Ebbene, in questi momenti mi sento confusa ad essere sola, a mangiare da sola. Per fortuna c'è sempre qualche bambino che si avvicina per vendermi dei fiori e che faccio accomodare vicino a me offrendogli un grande gelato. Mi tiene compagnia e impedisce alla malinconia di raggiungermi. Ci raggiungono invece altri bambini, tutti con qualche cosa da vendere e vedendo il loro amichetto comodamente seduto a riempirsi la pancetta, gli si fanno intorno con cinguettii strani, poi si siedono a loro volta intorno a noi. E ci sarà gelato per tutti e incomincerà la "nostra" festa privata, quella che ogni sera della mia permanenza rallegrerà, ora un ristorante ora l'altro.

E' quando sono nella stanza d'albergo, che cerco di personalizzare con tutto il disordine possibile, che mi trovo, mio malgrado in difficoltà. Ora gli occhi non si distraggono più da ciò che mi accade intorno durante la giornata. Le orecchie non rimbombano più di mille suoni diversi. L'unico profumo che sento adesso è quello delle saponette e dei bagni schiuma che filtrano dalla porta del bagno lasciata aperta. Allora il silenzio diventa un tuono, uragano dentro, e la pelle è percossa da fremiti così come avviene quando si è preso troppo sole! Ed è triste. Non c'è nessuno con cui condividere una complicità di pensiero. Nessuno da cui ricevere il bacio della buonanotte, quel bacio che ti copre e ti fa sentire finalmente al sicuro.
Il più delle volte cerco di concentrarmi su un libro, per accorgermi poi di essere rimasta troppo a lungo su una stessa pagina. Qualche volta accendo la TV che trasmette in una lingua che non è la mia, e, pur comprendendo mi pare si rivolga a tutti meno che a me. Così apro la finestra del balcone. L'aria fuori è umida e appiccicosa e già si mischia con quella congelata dell'interno formando un pasticcio atmosferico ancor più sgradevole. Infine mi chiudo nella stanza e lascio liberi i pensieri di vagare dove meglio credono, fino al momento in cui, anch'essi stanchi, mi concederanno un'altra notte di sonno agitato.

Oggi ho scelto un posticino a ridosso degli scogli che si gettano in verticale sulla sabbia impalpabile per prendere parte al giorno che si sta alzando. Già un cane randagio mi si è accucciato vicino. Ce ne sono tanti qui e nessuno fa loro del male, e nemmeno se ne curano, così loro si arrangiano come possono, anche elemosinando un pezzo di pane ai turisti solitari come me. In lontananza vedo avvicinarsi una barca di pescatori e ora si ferma. La bassa marea le impedisce di avanzare oltre. Un gruppo di uomini appare sulla spiaggia. Si tirano su i lembi dei calzoni e s'incamminano nell'acqua, verso la barca. Quando la raggiungeranno saranno fradici fino alla cintola. Li vedo raggruppati intorno all'imbarcazione, gesticolano, contrattano, poi si caricano dei fardelli sulle spalle e ritornano verso la riva, uno alla volta. Quando sono abbastanza vicini posso osservare il loro carico. Sono pesci enormi: barracuda, pesci spada e altri a me sconosciuti. Li depositeranno sul retro delle camionette parcheggiate lungo la strada, su carrettini e persino sui manubri delle loro moto, prima di ritornare verso la barca per munirsi di un altro carico.
Adesso i pesci riportati sono più piccoli e saranno lasciati sulla spiaggia, dove delle donne, munite di buste ne prenderanno qualcuno, solo il loro fabbisogno, senza togliere ad altre la propria razione. Tutto questo in silenzio, come in processione, come in un rituale. I pesci più grossi saranno venduti ai ristoranti, quelli medi ai venditori di strada quelli piccoli sfameranno i poveri. Alla fine resteranno dei pescetti ormai intrisi di sabbia, e allora sarà il cane a lasciare il mio fianco per avvicinarsi ai rimasugli e mangiarli.

Aveva meno di tre anni il nostro piccolo quando siamo venuti a Bangkok per la prima volta, per installarci poi a Pattaya, e le nostre giornate trascorrevano in una atmosfera di continua vacanza. Le scimmie libere per il parco della nostra casa/albergo erano i nostri animali, cosi come il baby elefante e i pappagalli noiosi. Aprivo la finestra al mattino ed eccoli lì sul davanzale, i volatili voraci, pronti a piazzarsi davanti al frigobar reclamando noccioline e frutta, mentre le scimmie a turno entravano per rubarci i vestiti lasciati ovunque nella stanza, scappare con essi, e andarli a depositare sugli alti rami degli alberi. E Roby chiedeva in un miscuglio di lingue tutto suo: "Sanno nuotare le isole?" e ancora " Si mangia anche il sole?" quand'era arrivato alla parte centrale della fetta d'ananas che stava divorando.
E, con il passare dei mesi, la guerra nel vicino Vietnam si era intensificata e ci trovammo a condividere piscina, abitudini e talvolta la tavola con i militari americani.
Spesso un giovane in divisa mostrava le sue armi al nostro cucciolo. Allora Walter andava su tutte le furie. A casa nostra non sarebbero mai entrate nemmeno armi giocattolo, mentre lì, i B. 52 passavano proprio sopra le nostre teste al mattino, partendo da Utapao con il loro carico di morte, le bombe, per portarle e farle cadere a solo mezz'ora di volo da noi. Li contavamo mentalmente: "uno..due..dieci!" e alla sera al loro ritorno li ricontavamo e ci sussurravamo: "Ne mancano due, ne mancano tre"
Ci trovavamo a Pattaya, quando il presidente Johnson annunciò l'inizio di trattative di pace. Una pace che non sarebbe mai arrivata, se non con la sconfitta degli Stati Uniti d'America, ben sette anni dopo, quando eravamo tornati in Italia da tempo.
Noi, in Italia, ormai non ci trovavamo più a nostro agio. Si soffriva di nostalgia, prigionieri in una casa dalle mura di mattoni, emarginati da persone egoiste e accapparatrici. E lottavamo con tutti i mezzi per ritornare il più spesso possibile al nostro "niente" che era il nostro "tutto". Inoltre una guerra ingiusta stava continuando nel Sud Est Asiatico estendendosi anche, seppur in maniera diversa, nella vicina Cambogia.
Noi, volevamo a tutti i costi fare ancora parte del gruppo di volontari che partiva alla sera, con dei fragili sampan, , lasciando le spiagge sicure per costeggiare i confini tra la Thailandia e la Cambogia, alla ricerca di corpi feriti sulla battigia, caricarli e riportarli verso la sicurezza di una Croce Rossa Internazionale.
A Pattaya inoltre avevamo dovuto lasciare i nostri animali, gli amici, il nostro modo di vivere, di girare sicuri e liberi ovunque.
Ci mancava il non poter prendere una barca com'eravamo usi fare, sceglierci un' isola dove approdare, una di quelle che si vedevano dalla riva, di quelle che vedono i miei occhi adesso. Fermarci sottovento e gettare in mare un filo di nailon con due ami attaccati ad una estremità per pescare, uno dopo l'altro pesci grossi e colorati. E mentre il pescatore che ci accompagnava, ne tagliava solo i filetti per cucinarli sulla stessa barca, su un piccolo braciere, noi si nuotava senza paura. Non importava se sotto i nostri piedi nuotavano anche pescecani o barracuda.
Ci mancava il nostro modo dinnocolato di camminare lungo i campi per raccogliere ananas, trovare mango o noci di cocco dal succo dissetante e sostanzioso, il poter comperare interi caschi di banane, quelle piccole da noi sconosciute, così zuccherine da formare da sole una cena.Ci mancava quel modo magico di stare insieme, l'abbracciarci e stringerci sempre, insomma essere felici. Per questo facevamo i salti mortali per prendere l'aereo almeno ogni due mesi e ritornare per qualche giorno a "casa".

Fu in uno di questi viaggi che, giungendo da Roma, ci trovammo schiacciati all'aeroporto d Bangkok da una moltitudine di soldati. Stavano ritornando negli Stati Uniti con le divise lustre e i petti gonfi su cui brillavano medaglie e decorazioni, pronte ad essere mostrate con orgoglio in America. Vedendo tutto ciò il nostro "piccolo" divenuto ragazzo ora chiedeva: "Si ricevono medaglie anche per uccidere?.."

Questa mattina ho fatto una sciocchezza. Mi sono lasciata convincere, sulla spiaggia a prendere,con tanti altri stranieri, il barcone "Carne turistica da macello" per una crociera votata al disgusto. Ho trascorso, la giornata su una fantomatica isola che avrei potuto benissimo trovare al centro di Disneyland e ben più pulita. Ed ora, sulla via del ritorno, accucciata sul tetto della barca, e con il corpo troppo vicino a quello di altre persone per mancanza di spazio, mi sento chiedere: "Che cosa ci fa una signora tutta sola da queste parti?"
"Ahia, mi sono fatta prendere in castagna" penso, e lo sguardo si posa sul libro dalla copertina tutta italiana posato sulle mie ginocchia.Sono talmente dispiaciuta per aver sciupato una giornata così, che non rispondo nemmeno. Anzi mi giro a guardare il mare.
Perché sono sola? Il fatto è che avevo sentito il bisogno di ritornare in Thailandia e viaggiare in solitudine.Volevo visitare il paese in introspezione, rivivere nel posto che avevo così ben conosciuto e vissuto per anni e dove mio figlio era cresciuto.

Ora, davanti a noi, si sta avvicinando sempre più la baia semicircolare di Pattaya. Non c'é più la fitta vegetazione ad accogliere i naviganti, solo ammassi di cemento, alberghi, ritrovi, grattacieli, revolving restaurants, case per massaggi, Mc. Donalds, pizzerie "Hunt". Anche i mercati si sarebbero aperti da li a poco, lungo il viale che costeggia la spiaggia, dove si mercanteggia di tutto, al suono tintinnante delle piccole voci asiatiche, che imitano così bene il nostro modo di vendere. Quel tipico guardare di traverso il probabile acquirente e poi esclamare: "Ci rimettooo!"
Questa non è più la mia Thailandia. Non la riconosco, eppure so bene che per ritrovarla dovrei solo spostarmi un poco più in là, così come stanno facendo gli elefanti, quando si ritrovano in una boscaglia povera e ormai priva di vegetazione. Indietreggiano nella giungla rimasta intatta, almeno per un poco!
Devo andare verso Sud, o più a largo sull'oceano, oppure verso il Nord, all'interno delle foreste tropicali! Ma intanto sono qui a Pattaya, ad assaporare l'amaro di una disfatta della natura, delle tradizioni, di una gentilezza repressa in un popolo che noi occidentali abbiamo trasformato così.


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