Una apparizione! Una visione esaltante!
Immagina una laguna di grano nascosta tra i colli della Toscana, circondata da zone verdeggianti e da altre brulle.
Un luogo ove gli ulivi crescono allo stato selvatico, e i cipressi invecchiano indisturbati. Moltissimi, infatti, sono i cipressi, tutti alti e puliti, curati forse da mani invisibili.
Ti trovi, stupito, ad osservare dall’alto, un panorama inatteso, che si apre quasi come una veduta aerea, pur trovandosi a poca distanza. Stavi passeggiando, per una stradina di campagna, non asfaltata, assorto nei tuoi pensieri quando l’estatica visione ti ha fatto fermare. Pochi passi ancora e il viottolo da te percorso, interrompe il suo rettilineo formando una curva stretta e inaspettata come a chiederti di seguirla nel suo declinare. Il sentiero è una traccia appena percettibile, timidamente, vuole condurti vicino alla gialla e calda laguna. E’ una semplice striscia di terra bruna, fiancheggiata da quei cipressi che t’invita verso il basso, in un percorso tutto da indovinare per farti avvicinare a chissà quali promesse.
Dall’alto, vedendo il grano, hai immaginato un fazzoletto di terra coltivato. Non poteva essere altrimenti. Ora, man mano che ti avvicini, vedi delle chiazze rosse che si allargano tra le spighe colore oro. Alti papaveri frusciano con un fremito appena percettibile, cercando di farsi spazio tra le spighe, e mostrarsi anch’essi a te, con la loro semplice bellezza.
Ti avvicini ancora, fino a veder comparire, tra alti fusti lussureggianti, ai lati del campo, alcuni tetti dalle varie dimensioni, ricoperti da tegole cadenti. Circondano tutti, un tetto più vasto che occupa un largo spazio, lì, proprio li, al centro della laguna.
Continui a camminare, e man mano senti i tuoi passi farsi più leggeri, mentre segui l’incanto di un ignoto richiamo, allora ti lasci andare, estasiato, in una corsa quasi sfrenata, attraversi il campo, abbracciando papaveri e spighe nel tuo passare, mentre la scena ti appare sempre più chiara e nitida fino a mostrarsi in tutta la sua gloriosa maestosità! Dall’alto ti appariva un idilliaco paesaggio agreste, un insieme di colori e d’armonia, ed ora ti trovi, per incanto, ai piedi di un grandioso santuario medievale….
Che cosa ci fa tanta bellezza in un posto davvero sperduto e solitario? Dimenticato ormai dagli uomini e dove la natura ha preso il totale sopravvento?
Cerchi di mettere a fuoco tutto il paesaggio nel suo insieme e sconcertato concludi di trovarti, assolutamente per caso, al centro di un tutto di costruzioni abbandonate tanto tempo prima!
Noi tre, lasciamo l’ultima traccia del magico sentiero, facendoci largo con le braccia, tra l’impervia vegetazione. Ci tuffiamo, nel mare di grano, sparso di papaveri, andando incontro a delle pecore, che pascolano tranquille sui resti di un sagrato trasformato, dal tempo, in un verde piazzale. Ci troviamo proprio sotto al maestoso monumento. Alziamo contemporaneamente tutti gli occhi in alto, per vedere gruppi di piccioni tubare tranquilli sui bordi di un campanile vuoto.
La costruzione principale è proprio malridotta dall’abbandono, I vetri sotto rotti, i portali alle finestre cadenti, eppure le remote guarnizioni ancora così intatte e belle!
Non stiamo sognando dunque!
Ai piedi della basilica troviamo delle scale ampie e malandate e sopra di loro sembra ormai solo appoggiata un’enorme antichissima porta chiusa. Giriamo curiosi intorno alla costruzione… per incontrare altre scale. In cima a loro, ai piedi di un portone socchiuso un vecchio giace accovacciato. Degli enormi occhiali neri gli coprono gli occhi
Ci sediamo anche noi, a poca distanza e con discrezione cerchiamo di parlargli, di entrare in confidenza. Ci dice di non essere lui il pastore di pecore, bensì il solitario guardiano di quel tempio. Il bimbo, tra noi, scherza, gioca e gli pone a raffica mille domande, e l’anziano ci prende in simpatia. Si alza non senza fatica, invitandoci a seguirlo, facendoci entrare nella basilica quasi come fosse casa sua…
E dopo pochi passi, fu come trovarsi al centro di un incantesimo!
Non ci sono parole, né mai ci saranno per descrivere tutta la gloria di un ulteriore apparizione. Solo un qualcosa che ti fa stringere lo stomaco, ti apre allo stupore, e ti fa vivere sensazioni di gioia pura!
Immagina una lunghissima sala, abbellita da antiche colonne di marmo, di travertino o di semplice pietra serena, su cui poggiano, nella loro assoluta perfezione, dei capitelli, tutti diversi tra loro. Immagina ancora una lunga navata slanciata e nuda. Un tetto altissimo è formato da travi di legno. Una navata tutta tua, nella quale ti stai perdendo, lasciandoti cullare dalla fantasia.
La percorri lentamente fino in fondo, per trovarti di fronte ad una gigantesca finestra dai vetri rotti, sotto la quale è sospeso un Cristo di legno. E’ stato appeso ad una croce, e poi lasciato solo, anche lui, abbandonato chissà da quanto tempo. La testa è reclinata, come molti Cristi in croce, poco più chiara del suo corpo. Non ha la corona di spine. Non ha lo sguardo sofferente. Pare rassegnato e avvilito, per non avere neanche un supporto, a sorreggere il suo di dietro, dal peso di un corpo che scende pendendo pesantemente dalla croce, così da far sembrare che scivoli verso il basso…. E’ proprio un povero Cristo!
Ora ci sentiamo soli lì, noi tre, due genitori ed un bambino. Non esiste più lo spazio, né il tempo per noi, siamo confusi, tanto da non comprendere più dove ci stiamo trovando. Chi c’è di fuori? Uomini d’armi a cavallo? Straccioni malati di malaria? Laceri mendicanti?
Qui dentro, si respira semplicemente la pace, una pace infinita.
Il nostro ospite parla soffusamente, e non ci aiuta a comprendere il periodo storico in cui stiamo vivendo, anzi, ci confonde con il suo strettissimo dialetto toscano, oppure sta parlando nella più pura delle lingue?
Seguiamo i suoi gesti sicuri. Sta frugando nella tasca dei suoi pantaloni per tirarne fuori un mozzicone di candela e una minuscola scatola di fiammiferi che ora accende per mostrarci un tesoro d’alabastro. Poi, sempre con la candela avanti a sé, ci conduce in un umido sotterraneo. Una cripta.
“E’ la tomba di Sant’Antimo” confida.
“Chi era?” domanda il piccolo curioso.
Ci parla allora dei soldati al seguito di Carlo Magno, giunti dalla lontana Francia, tanto tempo prima. Erano tutti affetti da una terribile pestilenza. Si dovettero fermare, e scelsero quel luogo. Pochi morirono mentre molti di loro riuscirono a guarire.
Re Carlo era un buon credente e per riconoscenza, diede inizio alla costruzione di una basilica che nella sua semplicità rese anche stupenda. Era il lontano 781.
Seguiamo ora il vecchio al piano superiore, salendo per delle strette scalinate per poi camminare con lui al suo fianco, per lunghi corridoi su cui lati si aprono, la navate centrale della chiesa da una parte e, dall’altra, delle porticine così piccine che si entra uno per volta, abbassandosi, su stanzette anguste e miseramente vuote.
Mi affaccio ad una minuscola finestra per sentirmi far parte di un panorama da sogno, per ritrovarmi protagonista in un quadro pittorico. Mi trovo tra Montalcino e il fiume Orcia, mentre Walter e il piccolo, pensano forse, di perdersi nella tenuta dei Barbi invece, nota nel mondo intero per il suo famoso vino “Brunello”, affacciati come sono proprio sui vigneti che si estendono davanti ai loro occhi. Ed eccoci, nuovamente riuniti, stretti in un abbraccio, con testa fuori della stessa finestrella d’angolo, occhi in su rivolti alla vetta del monte Amiata assorti, come in preghiera, sognando in silenzio.
I piccioni, che avevamo visto tubare su l’alta torre al nostro arrivo, si sono avvicinati senza timore, unendosi a noi, per volarci intorno curiosi, seguendo il nostro girovagare.
Raccolgo un pezzetto di vetro rotto, e mi sembra di aver tra le mani un lembo di nuvola.
E dopo minuti, o ore, colmi d’emozioni, ci troviamo nuovamente tutti seduti all’esterno, con caldo sole d’agosto sul viso, le spalle appoggiate al portone ancora socchiuso, sul medesimo dissestato scaleo.
Il “nostro” vecchio è di nuovo accucciato, come una lucertolina raggrinzita, si accende una sigaretta togliendosi gli occhiali e i miei occhi incrociano i suoi …per vedere delle pupille completamente bianche….
“Ma lei è…è completamente cieco” esclamo gridando quasi, per lo stupore. Poi come per giustificare una reazione davvero poco delicata, continuo “Come ha fatto a condurci in una visita così particolareggiata?”
“La basilica è parte di me” risponde tranquillo “ la vedo dentro, da tanto tempo ormai. Sono arrivato qua da bambino, per caso, come voi oggi, e poi sono ritornato tante volte fino a fermarmi, decidendo di restare per sorvegliarla, fino alla fine dei miei giorni”.
Siamo tornati innumerevoli volte anche noi da Sant’Antimo, con il ripetersi delle stagioni. Con il passare degli anni siamo persino diventati suoi amici, e lo abbiamo tanto amato.
Diventando quasi intimi, gli abbiamo anche chiesto, da poveri mortali, di aiutarci a risolvere dei problemi personali.
“Tu non sembri molto occupato, come gli altri Santi. Antimo. Sei sempre così solo. Può succedere anche che ti senta annoiato. Allora aiutaci occupando un poco del tuo tempo intercedendo per noi dal Signore. Aiutaci affinché nostro figlio trovi un lavoro.”
E il nostro piccolo ormai cresciuto iniziò a lavorare….
E poi gli chiedemmo ancora:
“Aiutalo ancora Antimo, fagli trovare la tranquillità, fallo magari sposare …”
…
e il nostro pargolo si sposò.
Poi accadde qualcosa di grave nella nostra famiglia che c’impedì di tornare a trovare Sant’Antimo, nella sua casa in Toscana, per molto tempo, ma quest’anno nella personale disperazione, abbiamo voluto, mio marito ed io, trascorrere il Natale con lui.
Non era più solo!
Lo vengono a visitare anche da lontano ora e la sua dimora si è trasformata. E’ così calda nel suo interno, mentre fuori imperversa un inverno più gelido che mai.
La navata risplende, illuminata a giorno com’è e tutto l’insieme è stato restaurato.
Mi sembra vedere persino una luce brillare negli occhi del Cristo di legno, liscio e pulito, quasi sorridente.
Il soffitto della lunga navata, è tirato tanto a lucido che le sue travi, riparate danno l’impressione di essere finte…
Su una parete, dal nulla, è persino apparso un graffito antico. Rappresenta San Cristoforo che porta sulle spalle il bambino Gesù!
Per questo sorridi povero Cristo in Croce?
E i piccioni? Sono rimasti chiusi fuori, dai vetri impenetrabili, rimessi a tutte le finestre.
Decisamente Sant’Antimo non è più solo. E’ diventato anzi un santo importante tra gli altri santi. Nella sua dimora è stato installato persino un organo che, in questo momento, le mani di un pretino suonano tanto bene, volando sulla sua tastiera per innalzare, il più possibile, inni in questa serata natalizia.
Non avrei dovuto farlo Antimo, non avrei certamente voluto, ma mi sono commossa proprio tanto e non ho potuto resistere …così mi sono lasciata andare al pianto, accucciata sulla tua panca nuova, allineata tra tante lungo la navata, e ti ho dedicato le mie lacrime, lasciando che si mescolassero liberamente ai dolci suoni dell’organo per arrivare fino a te….
…e fu allora che ti vidi…ti vidi sorridere mentre cingevi con le lunghe braccia i tuoi due più cari amici: il vecchio da un lato e il nostro ragazzo dall’altro.
Le due creature che più di tutte ti hanno amato.