Voglio raccontarti una storia. Una storia bagnata dalla fredda pioggia di un rigido inverno,riscaldata poi dai primi tiepidi raggi di una timida primavera.E’ tenera e dolce come il suo nascere. Una storia che si muove con il fruscio improvviso di uno sbattere d’ali, che profuma di selvatico e si muove con la stessa fragilità di una poesia.
Ormai il mio mondo è molto piccolo sai. Resiste solo nel silenzio del tuo ricordo. I miei passi passeggiano per il nostro giardino, seguiti dall’ombra dei tuoi stessi passi. La siepe è cresciuta intorno ai suoi confini, diventando così fitta che è ormai difficile per me, vedere il mondo che continua ad agitarsi oltre il suo limitare. E’ anche impossibile, per chi si trova a passare al suo esterno vedere noi, che continuiamo a passeggiare, qualche volta insieme, su un tappeto verde smeraldo.
I numerosi alberi che tu hai visto piantati da poco, sono cresciuti prosperosi allargando i loro rami rigogliosamente, taluni toccando quasi terra, come per abbracciare il nostro passare. I due pini, di fronte alla casa, sono così alti da lasciare sempre il terrazzo immerso nella penombra. Gli altri tre piantati da noi nel prato grande, davanti alla casa, sono diventati così alti da non permettere quasi più di vedere il cielo.E’ un vero parco questo nostro giardino. Una meraviglia di vegetazione varia, dove ogni tonalità di verde è rappresentato per arricchire con il suo sottofondo naturale le fioriture stagionali, sottolineando nel medesimo tempo il silenzio che ci circonda.
Eppure, se ti siedi su una delle due solitarie panchine e ascolti, puoi immaginare una fitta conversazione gioiosa cantata dai passeri che abitano qui.
Se guardi attento potrai seguire il ritmo allegro dei merli saltellanti nell’erba o il volo di una farfalla rara. Talvolta anche la mia mente vola lontano, nella felicità di averti visto nascere tra noi e averti potuto dare un nome delicato e fragile, come questo racconto: Pettirosso! Piccolo Robin!
L’inverno non era ancora giunto al suo termine quando questa storia aveva inizio. Continuavo a sentirne tutta la rigidezza e il freddo non lasciava mai le mie ossa, facendo tremare dentro e fuori il mio corpo ormai, eppure, continuavo a passeggiare per il giardino con il tuo papà nelle poche ore di luce pomeridiana. Durante una di queste occasioni, all’improvviso,ci apparvero due figurine tra l’erba alta. Camminavano una davanti all’altra, scrutando un prato assolutament4e nuovo per loro.
“Guarda due tortore!” dicemmo all’unisono mentre un sorriso di sorpresa e tenerezza stava già illuminando i nostri volti.
Due uccellini particolari davvero! Un messaggio forse, un cenno di calore e dolcezza…e così, dal nulla, com’erano apparse volarono via alzandosi al di sopra del grande abete, sfiorando le tegole rosse della casa e via verso un cielo ombroso che minacciava pioggia, lontane dalla nostra vista.
Nei giorni seguenti Walter si ammalo’ gravemente. Fu costretto ad essere trasportato in ospedale dove avrebbe passato proprio dei brutti momenti, seguiti da una sua personale coraggiosa lotta per rimanere in vita, e una battaglia difficile, la mia, per affrontare quel “di fuori oltre la siepe” così faticoso da superare.
Molte, troppe erano le sere in cui dovevo tornare a casa sola. Il giardino mi pareva ancora più solitario e talvolta persino ostile.
Una mattina, guardando a mezz’aria verso il susino sul retro della casa, notai che vecchio nido, lasciato vuoto da qualche tempo, e che aveva resistito a più di una stagione era occupato. Una testolina a forma di noce mi guardava dall’alto del suo nuovo possedimento. Su un ramo vicino a sorvegliarla e tenerle compagnia una splendida tortora grigia. Non pareva impaurita, solo molto attenta.
Chissà da quanto tempo, quei due uccellini stavano studiando il territorio. Chissà da quanto tempo stavano studiano noi, ignari della loro presenza, persi com’eravamo nei nostri problemi.
“Indovina chi è venuta ad occupare il vecchio nido disabitato davanti alla finestra della cucina” dissi a Walter durante la visita giornaliera all’ospedale.
“Una tortora!”
“Giulietta…Giulietta nel nido e il suo Romeo sul ramo vicino!”
Ed eccoli battezzati, eccoli entrati a far parte della nostra famigliola, già composta di due gatti e il vecchio cane Blu.
Poi, Walter è potuto tornare a casa, anche se costretto a rimanere a letto per tanti giorni ancora La sua camera è al primo piano proprio sopra la cucina e il letto si allunga sotto una finestra proprio all’altezza del nido. Poteva quindi comodamente seguire Giulietta occupata nella cova, pur restando disteso. Muoveva appena un lembo della tendina per non disturbare , impaurire il piccolo essere.
Queste lunghe osservazioni lo aiutarono a sopportare l’immobilità, il dolore fisico di un corpo squarciato e la disperazione nel trovarsi così limitato nei movimenti. Si alternarono così, giornate opprimenti di pioggia battente, dove l’osservare la bestiolina, immobile sotto l’acqua gelida faceva stringere il cuore, a notti in cui i tuoni erano così violenti e i venti tanto forti da far tremare le tegole sulla distesa del nostro tetto.
Con i primi albori, ecco la tendina della stanza al piano superiore e quella della cucina al piano inferiore scostarsi delicatamente. Entrambi. Walter dalla sua camera ed io già affaccendata al piano inferiore, pronti a tirare un sospiro di sollievo. Giulietta stava bene. La sua testolina si muoveva ora verso l’alto, ora verso il basso come per giocare e dirci: ”inutile nascondervi, lo so che ci siete, lo so che mi state guardando”.
Romeo si faceva vedere nelle ore più strane, apparendo dal nulla, come la prima volta che lo vedemmo.Si appollaiava per un po’ su un ramo vicino al nido prima di scomparire di nuovo.
Andai a comperare dei semi di miglio e li sparpagliai sul muretto che divide il filare degli alberi da frutta, piantati dal lato piccolo del giardino al portico d’ingresso della casa. I chicchi si bagnavano con la pioggia e l’umidità e, in ogni modo, parevano restare inosservati dalle tortore o da qualsiasi altro volatile del giardino.
Poi, piano piano, vedemmo Romeo aggirarsi intorno a loro, guardare furtivo e iniziare a beccare guardingo.
Speravo che anche Giulietta venisse a mangiare ma ci pareva restasse sempre immobile al suo posto. Sapevamo ancora così poco di nidi, d’uccelli e del loro comportamento e non ci restava che l’osservazione, per quanto i nostri problemi ci lasciassero lo spazio per farlo.
Lentamente Walter si riprese riuscendo, tutto fasciato com’era, a scendere le scale e anche ad uscire in giardino con il primo sole di una primavera così tarda a venire. Giulietta prese ad abbandonare il nido per brevi momenti pur restando ben visibile nei dintorni a tenerci d’occhio. Riprese anche a volare con il suo Romeo da un ramo all’altro dei tanti alberi in quella parte posteriore della casa, dove il filare degli alberi è ben protetto da un terreno vicino con una siepe ancora più alta che nell’altra parte del giardino perché mai tagliata, da quando abitiamo qui.
Poi, un anonimo lunedì, in cui il sole stava davvero riscaldando la natura e le nostre ossa, le due tortore innamorate, sparirono. Incominciai a girare nervosamente intorno ad un nido lasciato solo tormentandomi. Non riuscivo a vedere l’ombra di vita tra i rami del susino, solo una piccola cesta intrecciata, forse ancora umida dalla brina notturna.
Tutti i pensieri di catastrofi incombenti, cui non mi riuscì mai a disabituarmi, mi passarono per la mente.
“E se Giulietta avesse abbandonato il nido…e se le fosse successo qualcosa….e se noi l’avessimo impaurita…e se fosse volata così lontana da non ritrovare più la strada di casa…”
Trascorsero così ben tre ore nei miei tentennamenti e nell’assenza delle tortore, poi non riuscì più a resistere e contro le rimostranze di Walter, intimorito quanto me, ma che non voleva saperne di una probabile brutta notizia, presi una scala e l’appoggiai con attenzione contro l’albero dove era arroccato il nido tornato “deserto”. Da un ramo vicino avrei potuto vederne l’interno. Incominciai a salire cautamente, cercando di non toccare i rami con il mio corpo, non contaminarli con il mio odore da “umana”.
Giunta all’altezza del nido notai che si allungava tra i due rami incrociati, verso il basso come una pera.Ci misi sopra il mio faccione, lasciando appena lo spazio di luce possibile per permettermi d’incontrare due occhietti che mi parvero grandi, unici senza corpo, tuffarsi nei miei.
Ridiscesi la scala in fretta spaventatissima.
“Oddio Giulietta e diventata così magra da cadere nel nido” gridavo forte, “Chiamiamo il veterinario Walter?”
Non fece in tempo a rispondermi dall’interno della casa, né ad uscire all’esterno che mi sentii piombare addosso il battere di quattro ali furiose.
Giulietta e Romeo erano nei pressi. Mi avevano vista salire sulla scala. Avevo osato profanare la dimora di due occhietti fiduciosi…chissà quanta paura si era preso, per colpa mia, quella creaturina cui avevo oscurato il suo cielo…. Volevo chiedere scusa, tranquillizzare le tortorelle, ma non conosco la lingua degli uccelli, il modo per farmi comprendere da loro così come pur mi comprendono il mio cane e persino i gatti.
Lasciai la scala al suo posto per non disturbare oltre ritirandomi in un angolo lontano del giardino mentre Giulietta riprendeva il suo posto sul nido e Romeo mi seguiva volandomi quasi sulla testa con un grande sbattere d’ali.
Mi misi a ridere dentro, contenta che tutto si stava risolvendo per il meglio. Romeo prese da allora l’abitudine di appollaiarsi anche sull’antenna della nostra televisione e di gridare per ore il suo “Thu thu thu”. Mi fece comprendere che stava dicendo: “questa è la mia dimora, il mio territorio, qui c’è la mia famiglia perciò state in guardia perché io vi osservo”.
E il sole prese sempre più il posto alla pioggia. La primavera scanzo’ il triste inverno facendo ancora una volta rinascere intorno a noi la natura, come ogni anno, prima timida e poi ogni giorno più forte e rigogliosa.
Walter stava guarendo e le ferite si erano quasi rimarginate. Era passato poco più di un mese e un piccolo tessere si reggeva ora dritto, provando le ali, su un nido rubato dai suoi genitori innamorati, frettolosi di metterlo al mondo. Era pronto a spiccare il volo adesso, alla conquista del suo spazio, della sua vita.
“Sarà triste quando voleranno di nuovo tutti via” dissi “ma è stato tanto bello potere osservare queste creature così da vicino”….
….e già il mio pensiero ti aveva raggiunto, comunicava con la tua magica presenza e la fragilità della tua breve esistenza tutta racchiusa nel nome con il quale ti abbiamo voluto chiamare:Robin -Pettirosso